Una nuova tesi universitaria su Cortocircuito

La studentessa Jessica Angelico ci ha inviato la sua tesi di laurea, in cui parla di Cortocircuito, conseguita presso il dipartimento di “Lettere, arti, storia e società” dell’Università di Parma, nel corso di laurea in “Giornalismo e Cultura Editoriale”.

Il relatore è stato il professore Paolo Ferrandi e il correlatore il professore Alessandro Bosi dell’Università di Parma.

Sono già diverse le tesi di laurea che parlano delle attività di Cortocircuito (tutte scritte da studentesse e studenti esterni all’associazione).

Pubblichiamo di seguito alcuni estratti della tesi di Jessica.

Associazione culturale antimafia “Cortocircuito”

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“Ho intervistato il giornalista indipendente Elia Minari, che con l’aiuto di diversi universitari reggiani, ha creato il sito Cortocircuito, il quale si occupa di inchieste sulle organizzazioni criminali in Emilia Romagna e in particolar modo tratta di Reggio Emilia. I ragazzi di Cortocircuito rappresentano la forza della ribellione, la voglia di esserci e di fare qualcosa attivamente per la propria città“.

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“Reggio Emilia non è solo una città dove la ‘ndrangheta è radicata, ma è anche esempio di come ci si può ribellare. È simbolo di attivismo da parte di molti cittadini. In particolare è stato per me illuminante l’incontro con i ragazzi di Cortocircuito, un sito interamente gestito da universitari reggiani.

Partendo dal basso il sito ha ottenuto numerosi successi, come il premio, consegnato dall’Università di Bologna, come migliore web-tv di denuncia d’Italia per il «coraggio nel raccontare attraverso video-inchieste e cortometraggi la criminalità organizzata in Emilia».  Inoltre il presidente del Senato Pietro Grasso, durante il 20° Vertice Nazionale Antimafia a Firenze, ha consegnato il “Premio Scomodo” nelle mani del coordinatore di Cortocircuito Elia Minari.

Grazie all’impegno di questi studenti Cortocircuito è diventato un fenomeno nazionale: infatti giornali come Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera e Repubblica hanno citano e riportato le inchieste svolte nel reggiano. Il sito di denuncia, inoltre, ha vinto anche il premio “Iustitia”, conferito dall’Università della Calabria e il premio “Rocco Cirino” assegnato dall’Osservatorio Molisano Legalità.

Il lavoro di questi ragazzi è un esempio di come la nostra terra riesca a reagire alla presenza mafiosa e lo faccia in modo attivo: per prima cosa con la voce, denunciando chi ha osato calpestare e abusare delle nostre risorse. Il servizio da loro svolto parte dalla convinzione che l’antimafia non debba essere considerata come un’azione esclusiva delle istituzioni, ma che tutti possiamo fungere da “antibiotici” per contrastare il virus.

Gli animatori del sito si presentano come cittadini, prima ancora di essere giornalisti, pronti a raccogliere nomi, dati, cifre per raccontare la mafia agli emiliani, molto spesso non pronti a sentire la verità, non volendo ammettere il fallimento di un’idea che per decenni li ha fatti sentire protetti dagli anticorpi frutto di un’importante storia di lotta, di liberazione e di resistenza partigiana. Profondamente convinti che mai la mafia avrebbe potuto violare il loro territorio.

Dal 2009 ad oggi sono state numerose le inchieste che hanno sviluppato. Una delle più importanti, e inquietanti allo stesso tempo, riguarda i roghi di origine dolosa appiccati a Reggio Emilia e provincia. Il titolo “Non è successo nulla. 40 roghi a Reggio Emilia”, dona una prima, e importante, inquadratura del fenomeno. Dalle indagini svolte da questi ragazzi è emerso che nel corso del 2013 sono stati, per l’appunto, quaranta i roghi che hanno illuminato a giorno le notti reggiane. Questi studenti hanno tracciato la fitta geografia di reati ai danni di imprenditori che hanno visto andare in fumo cantieri, macchine, camion. E tutto senza battere ciglio.

Questo è l’elemento più inquietante: nella maggior parte dei casi le vittime non hanno denunciato l’accaduto, anzi hanno operato una vera e propria opera di minimizzazione. A proposito di questo episodio gli stessi ragazzi di Cortocircuito hanno affermato: «Non raccontiamoci la favola della lite tra “terroni”. Perché anche questo si dice in giro. Che sono questioni tra meridionali. Questi gesti sono la goccia che fa traboccare il vaso. Non si fanno saltare in aria capannoni, auto, uffici, furgoni con questo ritmo senza una scusante buona. In molti fanno finta di non capire: l’attentato è l’ultimo gesto, quello estremo, che la ‘ndrangheta fa nel nostro territorio per affermare la sua potenza».

Altra inchiesta effettuata dai ragazzi di Cortocircuito, che ha attirato l’attenzione di tanti, è stata realizzata nel corso dell’ultimo anno. Tramite un cortometraggio hanno mostrato come il sindaco di Brescello (RE), Marcello Coffrini, definisce «gentile ed educato» un suo concittadino, non un cittadino comune, ma Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per mafia e fratello di quel Nicolino Grande Aracri che diede il via alla faida con i Dragone.

La video-inchiesta presentata dai ragazzi ha messo in luce come, in questo caso, alla classe politica manchi una reale consapevolezza; il lavoro di Cortocircuito ha mostrato come a operare sia l’indifferenza e le alzate di spalle. In particolare il sindaco di Brescello è stato estromesso dal partito di appartenenza e ha dovuto rispondere dei sui rapporti con Grande Aracri, definito da lui, anche in un’intervista successiva alla Gazzetta di Reggio, come «una persona normale, gira in bici e non in Ferrari, saluta, non spara in aria, non ha comportamenti mafiosi».

L’associazione Cortocircuito non si occupa solo di inchiesta, ma in questi anni ha cercato anche di proporre soluzioni per contrastare le mafie. In questo senso importante è il video “5 azioni che possono far la differenza” dove vengono illustrati gesti che quotidianamente ognuno di noi può compiere per contrastare la criminalità organizzata.

La prima azione è informarsi, essere giornalisti di se stessi, non accontentarsi di ciò che ci viene detto. La seconda è operare un consumo critico: acquistare prodotti che derivano dalle terre confiscate alla mafia. La terza è la partecipazione al voto, anche quello referendario, esprimere, quindi, una preferenza, prendere parte attiva nelle scelte che coinvolgono il nostro Paese. La quarta azione risiede nel non accettare l’illegalità, nel saper dire di no e come si legge sul sito: “preferire al puzzo del compromesso morale il fresco profumo della libertà”.

Il quinto consiglio afferma di scagliarsi contro ogni tipo di indifferenza e di disinteresse, perché ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale e spirituale della società (articolo 4, comma 2, della Costituzione). L’indifferenza, quindi, per questi ragazzi è incostituzionale.

Inoltre nel corso di questi anni hanno realizzato numerose iniziative sul territorio reggiano, avvalendosi della collaborazione di importanti esponenti della lotta contro le mafie: Salvatore Borsellino, il procuratore Nicola Gratteri, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il comandate provinciale dei carabinieri Paolo Zito, il giornalista sotto scorta Giovanni Tizian. Tutti hanno aderito al progetto di Cortocircuito, partecipando agli eventi e fornendo importanti testimonianze.

Per comprendere meglio il lavoro di questo sito ho intervistato Elia Minari, il coordinatore di Cortocircuito.

– Come è nata l’idea di Cortocircuito? 

L’idea di Cortocircuito nasce nel 2009. Lo scopo era quella di creare un giornale studentesco indipendente per le scuole superiori e fin da subito abbiamo deciso di approfondire temi ignorati, sottovalutati e tra questi c’era in particolare la criminalità organizzata. L’obiettivo era occuparsi dei temi trascurati dai media tradizionali, ai quali si dava poco spazio. Il nostro lavoro è svolto basandoci sui fatti, partendo da documenti ufficiali, atti e dossier.

Lo scopo era capire meglio, visto che alcune inchieste su cui abbiamo iniziato a lavorare coinvolgevano direttamente alcune città emiliane, e tra queste in particolare Reggio Emilia. Ma proprio a Reggio non se ne parlava, nonostante i numerosi dossier prodotti dalla Prefettura. È nato tutto da qui, dalla preoccupazione del silenzio.

– Come vedi in particolare la situazione di Reggio Emilia? E in generale il radicamento della mafia al Nord?

Innanzitutto è giusto parlare di radicamento e di colonizzazione. Queste parole sono riportare nei documenti ufficiali, nelle relazioni della magistratura. La differenza sostanziale tra il “vecchio” termine usato, cioè infiltrazione e quello di radicamento è sostanzialmente una: l’infiltrazione rimanda all’idea dell’acqua che si inserisce in un territorio sano e inerme, mentre il radicamento presuppone un territorio disponibile ad accogliere le radici della ‘ndrangheta.

Radici, quindi, che hanno trovato un terreno fertile, composto da alcuni imprenditori che hanno scelto di accettare, scendendo a compromessi, sperando di fare più affari. Proprio questo dato della “collaborazione” è inquietante, tanto che negli ultimi anni sono state oltre cinquanta le aziende bloccate con provvedimenti e interdittive antimafia tra Modena e Reggio Emilia, e tra di queste alcune erano appartenenti a emiliani doc.

– Le inchieste che in questi anni avete seguito sono state numerose e hanno destato l’attenzione dei giornali e di tante persone. Quali sono state quelle che ti hanno colpito maggiormente?

A me personalmente ha colpito molto l’inchiesta che abbiamo svolto sulla stazione Mediopadana di Reggio Emilia, una delle più grandi opere pubbliche realizzate nel Nord Italia. C’è stata una mancanza di trasparenza sui costi, e persino nel recuperare i documenti abbiamo incontrato non poche difficoltà. Abbiamo ricostruito un ambiente fatto di catene di subappalti e tempi dilatati, grazie alle interviste rilasciate dagli addetti ai lavori, visitando direttamente i cantieri. Ora è in corso un’indagine della Procura e ci sono stati 13 arresti grazie alle denunce sporte da un imprenditore reggiano, Enrico Bini, che ha lavorato nei cantieri reggiani della Tav.

Dopo questa inchiesta, significativa è stata quella riguardante l’azienda che si occupa dello smaltimento dei rifiuti. Da questo approfondimento abbiamo scoperto che alcuni subappalti erano stati affidati ad aziende “in odore” di criminalità organizzata. Partendo dai documenti, dalle visure camerali e dalle persone intervistate abbiamo mostrato come ci fosse un giro d’affari non sempre molto chiaro.

Un’altra inchiesta importante è stata quella svolta l’anno scorso sugli incendi di origine dolosa, di cui si è occupata anche la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna. C’era da capire meglio, era importante fare passare quei fatti non per mera cronaca nera. La domanda che si siamo posti era una: chi erano le vittime? E molto spesso le stesse vittime erano le prime a minimizzare, non sporgendo denuncia, negando. E mi ricordo di un signore, con alle spalle una casa annerita dall’incendio, che ci disse «Non è successo niente» e proprio da questa frase prese il titolo dell’inchiesta: “Non è successo niente. 40 roghi a Reggio Emilia”.

Tali situazioni di omertà ci hanno fatto riflettere molto, e ci hanno fatto capire che non era una caratteristica esclusiva del Sud Italia. Anche nell’ultima video-inchiesta numerosi imprenditori hanno preferito non essere intervistati, questi imprenditori non parlavano dialetto calabrese, ma diletto emiliano. È questo l’aspetto più grave: trincerarsi dietro un silenzio assordante e alquanto imbarazzante.

Una delle prime inchieste realizzate riguardava i rapporti tra alcune discoteche e il mondo della criminalità organizzata: tali episodi ci impressionarono molto perché erano locali molto frequentati da tanti nostri coetanei.

– Credi che i reggiani siano consapevoli della portata del fenomeno?

Credo che occorra non fare generalizzazioni. Posso rispondere con due punti. Il primo riguarda l’indubbia presa di coscienza che sta avvenendo. Per esempio quando nel 2009 iniziammo a realizzare i primi cortometraggi, intervistando le persone per la strada, l’aspetto comune era la negazione forte, quasi tutti sostenevano che la parola mafia non era in nessun modo collegata con l’Emilia Romagna.

Poi grazie alle numerose iniziative a livello locale e nazionale abbiamo assistito a una sorta di risveglio. Importante è stato anche il cosiddetto “effetto Saviano”. Roberto Saviano, infatti, è stato uno dei primi a sostenere e dimostrare come la mafia al Nord fosse ben radicata.

Qui inserisco il secondo punto: alcuni sanno ma preferiscono non parlare, non ammettere e la strada che percorrono è la negazione. Un’ affermazione che ho sentito diverse volte, detta da reggiani doc è stata: certi personaggi, anche se sono stati condannati per mafia, sono solo imprenditori che offrono posti di lavoro.

Sono convinto che questa sia l’opinione di una parte limitata della società emiliana, ma comunque fa riflettere sulla persuasione culturale del fenomeno mafioso. Credo che la chiave per contrastare le mafie stia prima di tutti l’ammettere l’esistenza del fenomeno.

– Come si può battere la mafia?

Collegandomi a ciò che ho detto, la soluzione è solo una: innanzitutto conoscere, operare con consapevolezza, analizzare il fenomeno e capire che il mafioso non è più quello con coppola e lupara che abbiamo visto nei film, ma è ben radicata nella società, veste con giacca e cravatta, si mostra disponibile e pronto a risolvere qualsiasi tipo di problema.

La ‘ndrangheta è una mafia che opere nell’ombra e quando ci siamo occupati dell’inchiesta sui roghi abbiamo capito che questi atti in realtà rappresentavano degli errori, perché la criminalità organizzata vive di silenzi e non di dimostrazioni eclatanti. Nei casi che abbiamo analizzato l’incendio rappresentava spesso un atto estremo, un’ultima spiaggia.

Poi le mafie si possono contrastare grazie all’appoggio delle istituzioni, grazie all’informazione e, soprattutto, grazie alla trasparenza. Un elemento fondamentale per infliggere una duro colpo alle mafie, nel campo dell’edilizia, è evitar il massimo ribasso: non ci si deve affidare ad aziende che propongono prezzi stracciati, che oltre tutto, non riescono neanche a mantenere. L’edilizia rappresenta, sicuramente, un porto sicuro per la ‘ndrangheta: è principalmente attraverso questo settore che riesce a guadagnare e, nel frattempo, a inserirsi nel territorio. E tutti, nel nostro piccolo, possiamo dare il nostro contributo; non aspettiamo sempre che gli altri facciano per noi, non dobbiamo sempre riporre le nostre aspettative nelle mani degli altri.

– L’inchiesta riguardante il sindaco di Brescello ha suscitato un grande interesse…

La soddisfazione più grande ci è venuta dalle parole del sindaco di Brescello il quale, pubblicamente, ha ammesso di aver sbagliato e di aver cambiato la sua concezione sulla criminalità organizzata al Nord. Questo per noi è fondamentale: far capire, far cambiare idee, è la
vittoria più grande.

– Il ruolo del giornalismo in rapporto con la mafia. Può l’informazione debellare questa piaga?

L’informazione è un antibiotico fondamentale per il virus. Quello che facciamo noi è giornalismo dal basso, il cosiddetto giornalismo partecipativo, formato da cittadini comuni. Non siamo professionisti ma studenti e cerchiamo di capire meglio questo fenomeno grazie ai documenti della prefettura, dalla magistratura, basandosi su fatti concreti, obiettivi e non sulle opinioni.

– Un tuo pensiero personale su quello che in questi anni hai vissuto e imparato in rapporto con la criminalità organizzata….

Partiamo da un dato: la situazione è grave, ma penso che ogni cittadino possa fare la propria parte operando delle scelte. Per esempio in un’inchiesta, che ho citato prima, abbiamo documentato come alcune discoteche di Reggio Emilia fossero legate alla ‘ndrangheta e da un rapporto della prefettura si leggeva come questi locali fossero ritenuti luogo di smercio della droga, luogo di incontro per le cosche calabresi e luogo deciso per il riciclaggio. Ecco ognuno di noi sceglie che locali frequentare la sera e documentandosi si può decidere se evitare o meno quel locale. Le nostre scelte non sono neutrali, hanno delle conseguenze ed è importante capire questo.

Operare delle scelte è già un primo passo: per esempio anche solo la scelta di decidere a chi fare ristrutturare casa propria può essere importante. Queste possono sembrare scelte banali, patetiche, ma noi ci crediamo ed è importante che il cittadino non deleghi, ma deve assumersi le proprie responsabilità. Andrebbe annullata l’idea che porta a dire a tanti “non tocca a me”. La realtà è sempre più preoccupante e il nostro scopo è quello di mantenere alta l’attenzione, fare sì che se ne parli.

Concludendo, un elemento chiave che vorrei sottolineare è che noi non vogliamo insegnare nulla a qualcuno e non pensiamo di avere la bacchetta magica per cambiare le cose. Speriamo solo di aver dato un piccolo contributo a conoscere questo fenomeno. Credo che la luce sia fondamentale per rischiarire l’ombra in cui la ‘ndrangheta risiede.”

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Questi ragazzi sono il simbolo di una Reggio Emilia attiva, di una città che sa analizzare il problema e fa di tutto per risolverlo. Questi studenti hanno iniziato un’opera di risveglio sociale, sono scesi per le strade con un microfono e una telecamera per documentare ciò che non va.

Loro sono un esempio di come tutti insieme possiamo fare qualcosa di concreto, di come con la semplice parola, la pura conoscenza si può contrastare il cancro della ‘ndrangheta. Questi sono universitari che denunciano l’esistenza della ‘ndrangheta. Saranno questi giovani a domare i fuochi, eppure non saranno mai pompieri. Educheranno i cittadini, eppure non saranno mai sindaci. Resteranno curiosi studenti, abili operai, precisi impiegati che hanno riconosciuto la mafia prima di altri. Loro sono il simbolo di una Reggio Emilia diversa.

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Vedi anche:

– “La ‘Ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana”: la video-inchiesta
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La video-inchiesta “Non è successo niente. 40 roghi a Reggio Emilia”
– Il quotidiano La Repubblica: “La mafia emiliana braccata dagli studenti di Cortocircuito”
– Intervista del web-magazine “AgoraVox” sulle iniziative di Cortocircuito
– Sul Corriere della Sera: “Cortocircuito, la web tv degli studenti-reporter che combatte la mafia”
– Elia Minari di Cortocircuito premiato dal presidente del Senato al Vertice Nazionale Antimafia a Firenze